Un nuovo paradigma di giustizia
“L’ecologia integrale diventi un nuovo paradigma di giustizia, perché la natura non è una ‘mera cornice’ della vita umana”: così si legge nella straordinaria enciclica “Laudato si”, uscita il 18 giugno scorso. Facciamo eco alle parole del Papa con alcuni brani inediti di Giordani, scritti negli anni sessanta, e siamo consapevoli che, come il Papa dice in un tweet: “Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo a una riflessione sul nostro stile di vita e i nostri ideali”.
Che la scienza rechi immensi benefici all’umanità è ovvio; ma può creare anche immensi malefici: per esempio, armi atomiche, biologiche, tossiche, e può quindi distruggere. Si ricordi Nagasaki e Hiroscima e Viet-Nam e i vari campi di concentramento. Cioè, la scienza, come l’arte, la politica, l’economia e le altre operazioni umane, può far del bene e può far del male; abbisogna di guida, dei lumi della razionalità divina. Leonardo distrusse una specie di sottomarino da lui inventato quando avvertì che si sarebbe potuto usare contro l’uomo. La tecnica, fuori della legge morale, può diventare un esplosivo. Ma la morale presuppone un legislatore, che la detti, e un giudice, che la sanzioni: cioè, un Ente superiore. E la scienza anch’essa presuppone una coscienza.
La scienza deve legarsi a un principio morale, se, come produce tesori per la civiltà, può produrre ordigni di inciviltà. Essa registra vittorie stupende sulla morte, respingendo epidemie, miserie, sofferenze; ma registra anche lucubri vittorie sull’umanità, a cui procura bombe infernali, inquinamenti ecologici, organizzazioni spionistiche.
I beni della terra sono fatti per tutti, come il sole, come l’aria. L’unico padrone di essi è il Padre universale, il quale vuole che tutti i figli ne partecipino. La proprietà dei beni, perciò, – spiegherà San Tommaso, – può essere privata, ma l’uso è comune; dacchè il proprietario privato non è che un gestore dei beni appartenenti all’unico padrone e li deve gestire secondo la volontà di Dio, che è del bene comune.
Narrando di qualche breve periodo trascorso in montagna con Chiara Lubich, Giordani così si esprime:
Quando s’andava in campagna, quelle foreste alpine si trasfiguravano in cattedrali, quelle cime parevano picchi di città sante, fiori ed erbe si coloravano della presenza di angeli e di santi: tutto s’animava in Dio. Cadevano le barriere della materia. Era anche questa una forma di quella riconciliazione di sacro e di profano, per cui, eliminato il brutto, il male, il deforme, si recuperavano d’ogni parte i valori di bellezza e di vita della natura, in tutti i suoi aspetti. I discorsi di lei (Chiara Lubich), come le opere, risultavano un assiduo sgombero di detriti mortuari per ristabilire la comunicazione, per sé così semplice, della materia con lo spirito, della terra col cielo. Una duplicazione dei valori dell’esistenza in terra, un aprire il valico al paradiso.