Sulle orme della Santità: Gli inizi dell’avventura di Chiara Lubich

Brano inedito tratto da Storia di Chiara (Storia di Light) di Igino Giordani

[….]La cosa cominciò, come le cose di Dio, da umile germe.
A sette, otto anni di età, per esempio, Silvietta, coltivata da Suor Carolina, si recava nella Chiesa del Santissimo Sacramento ogni venerdì per l’adorazione di un’ora; e si assorbiva in ginocchio a contemplare Gesù esposto tra le luci rutilanti, a contemplarlo per assorbirlo e finiva per il fulgore col non vederci più, rischiando la cecità, e talora svenendo.

Pregava: – Entra in me con la tua luce e il tuo calore!- Fissava da allora due tratti della sua religiosità, sostanziata di sapienza e d’amore.
Un giorno, che passava, con quel suo passo agile per cui la personcina sottile e graziosa slittava come una luce flessibile, velata da un vestitino povero, ma grazioso, quando fu in fondo a via del Torrione, tutto a un tratto si sentì invitata al martirio. Un invito netto, improvviso.
Stupita si arrestò, volse il visino in cielo, rispose: – Sì – Non era un’illusione per lei, che colloquiava con Dio e la Vergine e gli angeli con la spontaneità dell’infanzia. Ci siamo più volte domandati: – Come mai, a sette anni, una bambina già si gettava in Dio con donazione assoluta, mentre tante coetanee, pur educate come lei – e nel Trentino erano educate religiosamente – non provavano quegli slanci e non sentivano una vocazione totale a promuovere la gloria di Dio?
La vocazione. Qui è la risposta. Iddio l’aveva chiamata, scegliendola per questo. E avendo ella risposto subito: Sì (“Ecce ancilla Domini”) a mo’ di Maria, raccolse subito l’intelligenza – un’intelligenza superiore – e il sentimento – un sentimento arcangelico – su Dio, trasferendo subito, senza perder tempo, l’esistenza dall’Io a Dio.
La sua era una decisione  di vivere solo per Dio, decisione che coltivò vigorosamente pur conservando una ininterrotta convivenza col papà, la mamma, il fratello e le sorelline in terra come con Gesù e la Madonna e i beati in cielo. Tutta una famiglia.
Non fu la sola volta che sentì nell’anima la chiamata.
Le sue compagne ricordano che a 16 anni – il giorno di san Tommaso – sentì un’attrazione interiore, ancora più decisa, a farsi santa. Questo ormai si definiva lo scopo della sua vita, il suo ideale.
Siccome si donava a servizio dell’Azione Cattolica con tutto il disinteresse e lo slancio di cui, natura spiritualmente esuberante, era capace, i dirigenti, un giorno, quando ella aveva 19 anni, le proposero di partecipare a un pellegrinaggio a Loreto a spese del sodalizio,
perché Lubich era  povera   e non poteva fare spese.
Ella andò, come in estasi, pensando che avrebbe messo piede nella casa che era stata di Maria e ci aveva vissuto Gesù.
Vi accedette con una pietà, una commozione, una gioia che la facevano piangere: e sfiorò con le dita quelle pareti sacre, fermandosi come a raccogliere a distanza di secoli le voci della Madre celeste e di Giuseppe e il respiro dell’infante divino.
Non avrebbe voluto più distaccarsene. Tutti i minuti che nella permanenza a Loreto ebbe liberi corse a rifugiarsi nella casetta, a sfiorarla con le dita e ad avvolgerla di preghiera: la sentiva come la sua casa. Che altro desiderava se non di vivere con Gesù e la Madre e Giuseppe.
I tre le si impressero come i modelli d’una società, che sola, legittima, razionale, santa le si presentava in vista: modelli di sacerdozio, di verginità, di maternità, di assistenza, con diverse mansioni e pure uniti dentro le uniche pareti della stanza, come dentro l’unica volontà di Dio.
Il suo ideale, in quella visione, cominciava a definirsi: una convivenza, che prolungasse la famiglia di Nazareth, con Maria, la vergine, Giuseppe, lo sposo puro, e Gesù, il sacerdote eterno,  in mezzo,  restando nel mondo, come Maria.

Pubblicato il: 10/12/2013Categorie: Giordani scrittore

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