Pietro, il pescatore di Betsaida

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Preparandoci a festeggiare i due grandi apostoli Pietro e Paolo il prossimo 29 giugno, vogliamo approfondire la figura di Pietro con gli occhi di Giordani, che ce lo dipinge come un «uomo comune, uno dei tanti, di cui Cristo fa uno dei pochi».  Un uomo vicino a noi, quindi, con limiti e miserie, diventato una roccia, «guida d’eccezione d’una barca in tempesta». Giordani ci indica come Dio trasforma quest’uomo semplice e debole; e nell’esempio di lui ci mostra la possibilità per tutti di salire alle altezze della santità.

Esaminato con la lente della nor­malità, il Vangelo risulta sconvol­gente, paradossale: un Dio che si fa uomo; una liberazione che parte da un patibolo di schiavi; una figlia del popolo, che diventa madre di Dio…

Tra i più vistosi paradossi, c’è quello di un robusto pescatore galileo, Simone figlio di Giona, a cui Cristo dà il nome, e l’incarico più alto e più arduo, che è di diventare base della Chiesa universale. E Pietro non è che uno dei tanti lavoratori, dal carattere impulsivo, generoso, discontinuo.

Col buon senso popolano, con l’intelligenza naturale e con la purezza dell’anima, egli intuisce in Gesù un essere straordinario, un messo di Dio; e, al suo invito, abbandonate barca e reti, con gli altri strumenti di lavoro e di lucro per sé e i figli e la moglie e la suocera, lo segue in un’avventura, di cui non intravede lo svolgimento.

È l’uomo di fede. Non sa spiegare la vicenda; tutto quel che fa lo fa perché crede in Gesù; e crede perché ama. È una logica semplice, diritta: Dio prima; il resto dopo. E, per darsi al servizio di Dio non sta a pensarci due volte: è libero della libertà dei figli di Dio, e si dona. Si dona con impeto, secondo il suo carattere, fat­to di slanci, intervallati da crolli,tale cioè che solo la grazia divina poteva raddrizzarne le tendenze e pietrificar­ne le oscillazioni.

Egli è quel che oggi si direbbe un laico: un operaio con famiglia a ca­rico.

Gesù, eleggendolo all’autorità più grande, mostra in lui, messo così in evidenza, come di fatto nel Vangelo gli ultimi diventino i primi, e come, con l’aiuto divino, anche l’ultimo arrivato possa compiere grandi cose. Pietro offre l’esempio della nascita dell’uomo nuovo.

Quando lo incontra, Gesù lo scruta in fondo: sotto quella barba cespu­gliosa, quei vestiti logori, intuisce doti non comuni; tanto che lo chiama Pie­tra, e cioè gli assegna un compito di resistenza basilare, indistruttibile, e di fermezza, che contrasta con la mo­bilità vivace del suo spirito, quasi composto d’una doppia personalità: una che s’aggancia all’Eterno; l’altra che s’aggancia al tempo: donde una discontinuità, che talora esplode in forme di ingenuità infantile.

Quando, per esempio, nel lago in­travvede dalla barca Gesù sulla riva, non aspetta di avvicinarsi remando, ma si getta vestito nell’onda per arri­var prima nuotando.

E quando il Signore vuol lavare i piedi ai Dodici, egli reagisce e dice che non lo permetterà in eterno; ma subito dopo, per aderire a Gesù, chie­de che gli lavi anche le mani e la testa.

E così, attraverso le varie vicende narrate dal Nuovo Testamento, in Pietro si avvertono insieme i tratti dell’intelligenza generosa e della de­bolezza istintiva: quasi il dispiega­mento dell’uomo nuovo, che la pre­senza di Gesù evoca, e dell’uomo vec­chio, che la propria miseria risveglia.

Così, quando, una notte, sul lago turbato, apparisce Gesù, che cammi­na sulle onde, Pietro chiede di poter­gli andare incontro allo stesso modo. – Vieni! – risponde il Signore. E Pietro va, cammina sulle acque; ma a un certo momento, non vede più il Signore; vede il lago; non pensa più a Gesù, pensa a sé; e in sé affo­ga. Gesù lo salva: – Uomo di poca fe­de, perché hai dubitato?

E tutta via Pietro è colui che tra i dodici coglie la divinità di Gesù, e glielo dice: – Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente! – E tu sei Pietro – replica Gesù, – e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa…

Un’investitura solenne: la più alta immaginabile. Verrebbe da pensare che da quel momento Pietro divenisse consapevole e pieno del suo mandato. E invece, subito dopo, si mise a discettare a modo suo circa la resurrezione, quasi per dare il via alla letteratura pseudoteologica; deprecata più tardi da paolo; al punto che Gesù gl’intimò: ­– Vattene via, Satana; tu mi sei di scandalo; – perché tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini.

Prima Pietra, poi Satana…

Pover’uomo; doveva ancora molto salire per arrivare alla comprensione; ma custodiva nello spirito forze non comuni per quella salita.

Così, sul Tabor, nel proporre le tre tende, pensò ingenuamente di mu­tare la missione di Gesù tra le turbe nella pianura, in una stazione pano­ramica contemplativa sulla montagna. Ma – dice Marco, che attinge dalla fonte, – nel fare una tal pro­posta non sapeva che si dicesse.

La sua identità esplose nella notte della Passione. Aveva assicurato che non avrebbe tradito Gesù. Invece, lo rinnegò, tre volte, e dinanzi a una servetta.

Però pianse, amaramente. Questa la sua grandezza; la sua risorsa. Quel pianto lo ridimensionò agli occhi di Dio.

In conclusione, Pietro si rivela l’uo­mo comune, uno dei tanti, di cui Cri­sto fa uno dei pochi; lo trasforma, mentre nell’esempio di lui mostra le possibilità per tutti di salire alle altezze della santità: l’uomo mette le sue miserie, Dio mette le sue gran­dezze, e ne viene fuori l’Apostolo, for­te come la roccia, illuminato, come la guida d’eccezione d’una barca in tempesta. Quel che impressiona nel dramma della prima Chiesa, dopo la Pentecoste, è la vigoria con la dirit­tura di Pietro capo; uno che, con pru­denza, ma anche con coraggio e sfi­da, procede, a passo a passo, verso la testimonianza del sangue.

Come dunque, e perché, coi difetti, talora massicci, con la discontinuità talora turbante dei sentimenti, il Si­gnore lo scelse a capo della Chiesa, a suo successore nel periodo storico criticamente più arduo, sino a farne l’uomo di punta che rompe la recin­zione giudaica e affronta il mondo pa­gano, nel centro stesso dell’Impero nemico?

La ragione c’è e si coglie in quella che è l’essenza della religione nuova: l’amore.

Quando il Signore risorto si manifestò ai discepoli al mare di Tiberiade, dopo il pasto in comune, chiese a Pietro tre volte: – Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?

Dunque Pietro amava di più e il Signore voleva essere amato da lui «di più» che dagli altri. Più amore, dunque più alto impegno. Perciò Gesù, in risposta, gli commise di pascere il gregge: cioè di condurre la Chiesa, da lui fondata su quella pietra. Contemporaneamente, gli predisse il martirio. Prima servire, poi morire.

Poiché amare è servire; amando di più, Pietro doveva servire di più, sino a governare su tutti: ché governare è servire.

A quel suo amore strapotente egli dovette quindi l’onore d’essere il primo dei servi di Dio.

 

(Igino Giordani, Pietro, Il pescatore di Betsaida, in «L’Osservatore Romano» 29 giugno 1967).

Pubblicato il: 27/06/2014Categorie: Giordani scrittore

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