Ketteler, il vescovo degli operai

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Approfondiamo la conoscenza di Wilhelm Emmanuel von Ketteler con qualche stralcio di ciò che Giordani scrisse di lui nell’articolo: “Il centro germanico e il partito popolare italiano”, pubblicato nel 1924. Il volume La questione operaia e il cristianesimo di Ketteler è stato recentemente pubblicato con la collaborazione di Città Nuova e del Centro studi Igino Giordani.

«Non è inutile una ricostruzione, a scorci, del periodo di lotte sostenute dal Centro germanico contro il dittatore di ferro, Bismarck, non per esercitazione accademica, ma per ricerca di esperienze e ammaestramenti. Si dice che la storia è maestra della vita; ma non pare vero, tanto gli scolari sono o disattenti o smemorati. “Le cose passate – scrisse nei Ricordi Guicciardini, – fanno lume alle future, perchè il mondo fu sempre di una medesima sorte; e tutto quello che è e sarà, è stato in altro tempo, e le cose medesime ritornano, ma sotto diversi nomi e colori; però ognuno non le riconosce, ma solo chi è savio e le osserva e considera diligentemente”.

Prima che il Centro germanico sorgesse, i suoi leaders, quelli che gli impressero una fisionomia e un carattere, già avevano partecipato alla vita pubblica. Windthorst era stato ministro del suo re di Hannover; il barone Ketteler, arcivescovo di Magonza, aveva consumato la vita a ricostruire un ideale cristiano moderno di vita sociale, traducendolo fra il popolo.

Egli usciva da un ambiente feudale le cui tradizioni gl’insegnavano che in un paese certe libertà locali, certe autonomie territoriali, certe garanzie d’indipendenza personale oppongono un prezioso contrappeso alle inevitabili tentazioni del potere centrale e all’assolutismo allivellatore dello Stato. Questa tradizione, insieme con la condanna del dio-Stato, accentratore e onnipotente, sostanziò il Centro; è comune ai vari partiti cristiano-sociali; così come autonomismo e libertà rappresentano elementi fondamentali del popolarismo italiano.

Ketteler entrò da giovane in burocrazia, con discreta avversione all’assolutismo burocratico; ne uscì presto con un vero odio; tanto impeto di rivolta traeva dalla fede cattolica contro le tirannidi che minaccino il legittimo sviluppo della personalità umana e i diritti legittimi della umana dignità. I suoi omaggi alla libertà – religiosa, sociale, politica – sono inni commossi: perciò fu spietato contro i liberali che la libertà negavano alla Chiesa, e contro i socialisti, aspiranti a uno stato di schiavitù collettiva. Altro grande amore fu il popolo – il popolo povero; e per esso, attingendo alle fonti tomiste, trovava quei limiti al diritto di proprietà che il popolarismo ha fatto suoi. Fin dalla prima lettera a Lassalle si manifesta che il suo sogno era una organizzazione sociale fondamentale, per mettere il capitale a disposizione del lavoro e trasformare i salariati in proprietari. È del ’64 il suo libro La questione operaia e il cristianesimo. Figurarsi l’accoglienza che a tali teorie facevano i clerico-latifondisti slesiani! Le sue massime in politica, d’una coerenza morale inesorabile, sono le premesse della nostra dottrina. Nel 1867 affermava alto che neppure in politica il fine giustifica i mezzi (“è fondamentale principio individuale e sociale che non possa farsi il male perchè ne venga il bene”, ricordava il nostro C.N. nell’ottobre ’22); e aggiungeva: “Una conseguenza inevitabile d’un tale principio è la glorificazione assoluta del successo; ma la grandezza del successo non eclissa la grandezza dell’iniquità”. Diceva pure: “È da deplorarsi che la religione sia resa solidale e complice di una politica separata dalla legge di Dio; mal si fece quando fu suggerito alla religione e ai suoi ministri di dare una sorta di consacrazione religiosa. a tutte le violenze della politica”. Chi adora e… valorizza il successo, comunque conseguito, non condivide queste massime, naturalmente!

Dimostrava come conseguenza politica dell’idea cristiana sociale fosse la rappresentanza organica, anteponendo al costituzionalismo il regime della rappresentanza delle classi. Nel 1873 dettò al Centro un programma di politica sociale mirante a esonerare i generi di prima necessità dalle imposte, a disciplinare il lavoro delle donne e dei fanciulli, a ridurre la giornata di lavoro, e a costituire un’ispezione nel lavoro. Demagogia, comunismo – strillavano le gazzette liberali: Ketteler apriva S. Tommaso e andava innanzi.

Il Centro germanico fu fin dall’inizio aconfessionale. È del 1871 l’appello agli uomini «disinteressati e di carattere» nel quale si chiedevano riforme popolari, la conservazione di autonomie e particolarità speciali; e la libertà delle Chiese. Si dava così dei chiari connotati: sociale, particolarista, di difesa religiosa. Vi penetrava, con la persona, l’influsso di Ketteler, il vescovo degli operai, il quale a chi lo trattava da demagogo, rispondeva: “Io sono cristiano e sacerdote: a questo doppio titolo ho il diritto di non rimanere indifferente alla situazione dei lavoratori”».

(tratto da Igino Giordani, Pionieri cristiani della democrazia, ed. Città Nuova – Centro Igino Giordani, Roma 2008, pp. 261 e seg.)

 

Pubblicato il: 16/10/2015Categorie: Giordani scrittore

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