Don Primo Mazzolari: ogni uomo, un fratello
Il cammino verso gli altari di don Primo Mazzolari ora può iniziare ufficialmente. Così scrive Avvenire il 19 settembre scorso. La diocesi di Cremona, una volta ottenuto il via libera della Santa Sede, ha infatti deciso di far partire il processo, previa la nomina dei membri del tribunale diocesano.
Un lavoro complesso ha analizzato a tutto tondo il parroco della bassa padana capace di leggere i segni dei tempi, dar voce ai poveri risultando un profeta, uno che «aveva il passo troppo lungo – disse Paolo VI, che da arcivescovo di Milano nel 1957 chiamò il sacerdote a predicare agli universitari – e noi si stentava a tenergli dietro». Dalla ricerca effettuata è emerso un parere più che favorevole e ben articolato. Dal punto di vista dottrinale e morale «lo studio analitico delle sue pubblicazioni mostra la costante preoccupazione di don Primo di rimanere fedele alla Verità». E anche sul piano dell’antropologia si vede «quanto lucida fosse la distanza del pensiero di Mazzolari – dice don Bignami, massimo esperto di questa figura – dalle ideologie diffuse nel suo tempo. In particolare emerge una profonda sensibilità cristologica: ha saputo leggere la storia con la lente della fede di Cristo». (da Avvenire on-line)
Igino Giordani fu molto vicino a don Primo Mazzolari. Rileggiamo qualche stralcio della relazione che Giordani fece su di lui al convegno tenuto a Cremona nel dicembre 1979.
«Mi basta rievocare il nome di don Primo Mazzolari per capire il progresso che la figura e la missione del prete hanno operato durante gli anni Cinquanta, sull’esempio di sacerdoti come Mazzolari e molti altri, cresciuti nel popolo di Dio. E’ maturata la coscienza di quel che il sacerdote sia o debba essere: Cristo tra le moltitudini, che debella la miseria, e possibilmente anche materiale, dei lavoratori, in mezzo al popolo tutto.
Mazzolari lo incontrai più volte alla Pontificia Opera di Assistenza, a Roma e sperimentai, in più colloqui, quanto sentisse e patisse il problema della elevazione della povera gente e, insieme, come sapesse inserire tale problema nell’ambito della sociologia del dopoguerra e della teologia moderna. La sua parola e i suoi atti mi chiarirono l’immagine del prete, che come Cristo tra il popolo discerne i diversi bisogni e applica con coraggio e lungi veggenza il Vangelo alle diverse situazioni. La vita sociale, politica, economica interessava don Primo in ogni suo aspetto, perché egli vedeva sempre l’uomo, il fratello, nelle avventure, brutte e belle del suo tempo. Fu così prete dell’epoca nuova, che non veniva a compromessi con ideologie fantasiose e che dava impulso all’opera di redenzione svolta dalla Chiesa tra difficoltà e sacrifici.
Egli mi comunicava le esperienze fatte nella redazione del suo vivace periodico «Adesso» (un titolo che svelava la sua cura di non perdersi in evasioni di inutili rimpianti di formule antiche o di gratuite previsioni di miglioramenti futuri).
La caratteristica di questa sua presenza immediata fra il popolo bisognoso stava nel suo giudicare e agire in terra sempre in relazione al Signore in Cielo, armonizzando l’umano col divino, il sociale con il religioso, secondo lo schema dell’Uomo-Dio; donde una cura intelligente e paziente dei miseri che non si distaccava dall’opera di educazione spirituale e intellettuale: in un servizio degli animi semplice e continuo e fedele alla Chiesa e alla società».
Igino Giordani, “La sconfitta dei farisei”, in Attualità di Mazzolari, edizioni Cinque lune, Roma, 1981, p.119-120.