La coscienza della pace
Pubblichiamo uno stralcio di un articolo di Giordani, del giugno 1965, che è, ancora una volta, un appello alla pace. Una riflessione adatta anche ai nostri giorni, un invito a testimoniare ‘la perennità’ del Vangelo.
Suscitare una coscienza della pace è – pare incredibile – una novità da realizzare d’urgenza anche tra i cristiani. Tutta l’essenza della loro religione, il cui Dio è amore, la cui legge è la carità, comporta la ricerca della pace, fatta «beatitudine» nel Vangelo; e tuttavia quanti pretesti, nei secoli, per violare il quinto comandamento e far «beatitudine» l’ammazzar fratelli d’altro paese o razza o religione o casta…
E’ del marzo scorso (siamo nel 1965) una pastorale dell’arcivescovo di Càmbrai, mons. Guerry, noto per le sue trattazioni sociologiche, sul tema della Chiesa e corsa agli armamenti, vista come un «processo tragico, che a una a una tutte le nazioni subiscono, trascinate quasi da un cieco fato e in ciclo infernale a inventare e fabbricare armamenti sempre più numerosi, più costosi, più assassini ». In Francia, lo scrittore cattolico Raymond Aron si occupa di strategia atomica collocandosi «tra il sogno rosa della pace per mezzo della paura e il sogno nero della catastrofe atomica». Secondo lui, e secondo certe correnti diplomatiche americane, agli uomini di Stato oggi incombe un compito paradossale insieme e indispensabile: «utilizzare diplomaticamente la minaccia di ricorrere alle armi nucleari così da non essere mai costretti ad eseguire questa minaccia».
Una tesi che ci pare abbastanza ingenua, in un mondo nel quale governano, o possono governare, uomini avventati e pazzi, tipo Hitler, tipo Stalin… Il paradosso, non sta nell’uso delle armi (a un certo momento i fucili, e così le bombe, sparano da sé) ma nel rimettere il governo di grandi popoli a dei criminali folli. Siamo del parere di monsignor Guerry: «la corsa agli armamenti, giudicata in sé stessa, appare come un crimine contro l’umanità e contro il disegno di Dio». Essa s’accorda con una concezione materialistica della esistenza, che alimenta un materialismo scientifico e tecnico, fondato sulla potenza delle armi.
Una concezione che, al lume della ragione naturale, si rivela, di ora in ora, più assurda e suicida, e mostra, per contrasto, la sapienza della dottrina della Chiesa, fondata sui valori dello spirito, della persona umana, della ragione e dell’amore. Della vita insomma. Quelli perseguono la morte, e in essa vanno a fracassarsi, rischiando di fracassarvi anche l’umanità;
E invece l’uomo è libero e capace di progredire; e in tanti campi è progredito; perché proprio in questo dovrebbe immobilizzarsi?
La produzione d’armi – e armi anche nucleari – oggi denota un «regresso della civiltà, un ritorno alla peggiore barbarie, alla legge della giungla, coi raffinamenti di crudeltà prodotti da una scienza sottratta a una moralità superiore».
La coscienza della pace, la costruzione della pace! Paolo VI ci ha, dato con l’Enciclica Mense Majo alcune linee precise, semplici, per uscire dall’orrore d’uno scontro termo-nucleare.
Egli ha delineato la missione del cristiano, la quale applica alle generazioni nuove la redenzione di Cristo che ha vinto la morte. E monsignor Guerry, mostrando la gravità e l’urgenza d’una tale missione, per la quale il cristiano prolunga la donazione della vita in mezzo a una banda di necrofori, li invita a collaborare anche coi non credenti e coi non cristiani dove e quando siano costruttori di pace; e vede in questa collaborazione il risultato dell’appello di Paolo VI da Betlemme. Quel che più stupì Gandhi e altri saggi d’Oriente nel metter piede in Europa, fu che popoli cristiani si facessero guerra; e la loro guerra apparve agli orientali un fallimento dei cristiani, in quanto cristiani.
Ora, in piena rinascita, il popolo cristiano, come popolo di Dio, è chiamato, ci sembra, ad attestare la perennità dell’Evangelo propagando la coscienza della pace, come frutto della risorta carità che sorpassa razze, nazioni, classi, ideologie.
Da Igino Giordani, La coscienza della pace, «Città Nuova», 25.6.1965, n. 12, pag. 5