La più potente centrale di pace
“Il Papato, soprattutto da Pio X in qua, è stato la più potente centrale di pace”. Così scrive Igino Giordani nel 1964, anni di guerra fredda, in cui si temeva una terza guerra mondiale e pullulavano focolai di guerra in molti punti del pianeta. Molto interessante, e estremamente attuale, l’analisi che ci propone di alcuni punti salienti dell’enciclica di Giovanni XIII ‘Pacem in terris’, così come lo stretto legame tra il disarmo, la fame nel mondo e la pace. Punti su cui riflettere anche oggi, mentre le guerre dilaniano molti Paesi con una violenza inaudita. E oggi come allora, con papa Francesco, possiamo ripetere, perché lo sperimentiamo, che “il Papato è la più potente centrale di pace”.
Poiché propugna la pace, come tranquillità dell’ordine, in cui le comunità lavorino in condizione di interdipendenza e di solidarietà per il bene comune, il Papato da anni condanna la politica di guerra e chiede il disarmo. Oggi la guerra contiene la sua confutazione, la sua condanna, nei mezzi e nei modi stessi onde è fatta: scatenamento di rovina e morte contro giovani e vecchi, uomini e donne, sani e malati, innocenti e rei…: distruzione indiscriminata di quell’opera di Dio, che è la vita; offesa furibonda inflitta al Datore della vita, il Creatore.
La pace perciò non è un problema – dice il cardinal Feltin -; è il problema del tempo nostro. O lo risolviamo o siamo distrutti, come umanità.
Allo stato dell’economia e della tecnica odierna, si può dire che c’è miseria nel mondo, dove due uomini su tre patiscono la fame, perché si gittano le ricchezze negli armamenti, sempre piú costosi. E ci si arma perché si ha paura; e si ha paura – insegna la Chiesa – perché non si ama. « L’amore scaccia il timore ». La guerra poi non risolve problemi: crea problemi. Per sé, come la definì Benedetto XV, «è un’inutile strage»; e, come precisò Pio XII, «ora meno che mai, è un mezzo proprio a dirimere conflitti».
Il Papato, soprattutto da Pio X in qua, è stato la più potente centrale di pace. Non ha mai smesso di offrire alla guerra l’alternativa delle intese. Nell’ultimo periodo, dinanzi ai pericoli della guerra fredda che aveva diviso il mondo in due blocchi pronti a scatenarsi all’eccidio, – o, più esattamente, al suicidio, come i due eroi mitici che in duello stramazzarono morti l’uno sull’altro, – Pio XII, nel Natale del 1950, disse: «Quanto desidererebbe la Chiesa di concorrere a spianare la via a questo contatto tra i popoli! Per lei Oriente e Occidente non rappresentano opposti princípi, ma partecipano ad un comune retaggio… »
Sempre l’idea della comunione, in vista della comunità.
«Noi vogliamo invece – ha ribadito Paolo VI nella sua mirabile omelia del giovedí santo, – costruire, auspice Cristo, una comunione di anime, una comunione la piú grande possibile». Universale, tale da contenere tutte le comunità, come Giovanni XXIII bramava che fossero – che divenissero – tutte le convivenze organizzate, dalla famiglia allo Stato, dallo Stato alla famiglia umana.
Secondo la Pacem in terris si giustificano gli armamenti «adducendo il motivo che, se una pace oggi è possibile, non può essere che la pace fondata sul1’equilibrio delle forze»: per cui se uno arma anche l’altro deve armare. Si scorda la verità detta da Napoleone: che a un certo momento i fucili sparano da sé. Basta che un pazzo – e s’è visto con Hitler – voglia fare la guerra, perché, in un momento d’ebbrezza, con un gesto folle, scateni il conflitto più irragionevole. Senza dire che oggi gli esperimenti nucleari, con le radiazioni delle scorie termonucleari, già disseminano la morte.
Perciò – conclude la Pacem in terris – «giustizia, saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti ».
E offre i criteri: « Si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari; e si pervenga finalmente al disarmo integrato da controlli efficaci ». Una riduzione per gradi sino all’abolizione delle armi; e Giovanni XXIII chiama a suggello Pio XII, il quale aveva chiesto: « Non si deve permettere che la sciagura di una guerra mondiale con le sue rovine economiche e sociali e le sue aberrazioni e perturbamenti morali si rovesci per la terza volta sull’umanità ». Naturalmente un disarmo integrale presuppone che si smontino – dice l’enciclica – anche gli spiriti. Si vis pacem para pacem.
– E la risoluzione di controversie come si ottiene? – Si ottiene coi negoziati. Meglio discutere a tavolino per tre anni, che premere i bottoni dell’armamentario atomico per tre secondi. L’alternativa è semplice, ormai: semplificata dalla scienza e dalla coscienza: o i popoli collaborano nella pace o finiscono nel suicidio. O la vita o la morte.
Il progresso tecnico, economico, culturale sollecita l’applicazione della legge evangelica che richiede «una convivenza unitaria a raggio mondiale»: l’unità, o almeno la solidarietà, dell’unica famiglia umana. Oggi è chiaro: i popoli stanno tutti nella stessa barca: se essa affonda, affondano tutti. Non ha più senso l’autarchia, non serve più il nazionalismo: si vive gli uni per gli altri, gli uni con gli altri, gli uni degli altri, nella comunità umana, come nel Corpo mistico.
E dunque l’autorità, gli strumenti del governo per il bene comune universale vanno attrezzati attraverso accordi comuni con poteri nuovi, su dimensioni mondiali: una tale attrezzatura è possibile e valida se ottenuta mediante liberi accordi, nel riconoscimento della eguaglianza, libertà e prestigio d’ogni comunità, e sempre «avendo riguardo alla persona umana».
La persona umana è il valore massimo. Tutta questa strutturazione comunitaria, unitaria, mira ad assicurare la salvezza integrale dell’uomo, in quanto uomo, – cioè immagine e somiglianza di Dio, equivalenza morale del sangue di Cristo, – nel tempo della standardizzazione e del totalitarismo, sotto cui l’uomo rischia d’essere ridotto a ordigno di lavoro e di sparo, oggetto anagrafico, sommerso nella massa.
I regimi collettivistici coatti si reggono sullo sterminio della persona. Qui – i Papi non finiscono d’insistervi – la decisione è capitale: salvare la libertà, che è poi la dignità della persona umana, è salvare la razionalità, il benessere anche morale, le energie progressive della convivenza.
Il regime di solidarietà universale, di governo mondiale, proprio della comunità di tutti i popoli, non è, nel pensiero della Chiesa, un regime di allivellamento e conguaglio universale. Per essa – come ha spiegato anche Paolo VI – l’unità non è uniformità. La comunità mondiale è di tipo pluralistico, risultante armonica di innumerevoli comunità minori, tutte operanti, – tutte cooperanti, – quasi cerchi di onde concentriche. Come lo Stato verso i cittadini nella nazione, così la comunità mondiale verso le comunità politiche minori, esercita un’azione di sussidiarietà: non elimina le autonomie, anzi le protegge, mentre le coordina; e, occorrendo, le integra.
Per questo la Pacem in terris rende omaggio alla Organizzazione delle Nazioni Unite, all’ONU, come primo tentativo operoso, benefico, di cooperazione politica mondiale. La solidarietà operante su scala mondiale realizza, sul piano politico ed economico, l’obiettivo della carità, per la quale individui e popoli formano un’unica famiglia, dove tutti sono chiamati dal Creatore alla vita: alla vita, non alla morte, essendo egli Dio dei vivi, e non dei morti. E la vita esige pane e pace per tutti, nell’amore e nella libertà.
Col disarmo si salva la pace.
Col disarmo si sfamano i popoli affamati. Il direttore generale dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura fece a Roma una dichiarazione, che meritò il plauso di Paolo VI. Disse, tra l’altro: «Il mantenimento della pace è uno sforzo costante e positivo. Esso esige che tutte le nazioni del mondo contribuiscano a creare condizioni di sicurezza vera, le quali non saranno raggiunte fino a quando più della metà del genere umano rimarrà sotto il morso della fame, della malnutrizione e della miseria.
«Dal 1442, il presidente Roosevelt aveva proclamato che il diritto dell’uomo a sfamarsi a sufficienza doveva figurare tra i quattro grandi obiettivi della collaborazione internazionale. Egli aveva capito perfettamente l’importanza essenziale di questo fattore per la pace mondiale, e insieme la necessità per le nazioni di consacrare una parte importante delle loro risorse umane ed economiche a questo sforzo umanitario comune».
Perciò la parola pace oggi designa un ordine universale, – l’ordine della razionalità, della vita, – che comprende la libertà e il pane, la salute e la gioia; e permette di dedicare le forze umane ad accrescerla, la vita, e non a fulminarla.
Igino Giordani, Disarmo, guerra e fame in «Città Nuova» n. 7 del 10.4.1964, pag.2.