L’Assunta

assunta

“Con la festa dell’Assunta, la cristianità ripete, a mezzo agosto, la festa che, in onore del Figlio, celebra nel cuore dell’inverno a Natale”. Così Giordani ci presenta questa solennità liturgica, mettendo in luce il dono che Maria è per l’umanità: donna per ridare dignità a ogni donna; vergine e quindi fonte di purezza e di purificazione per tutti; madre per dare e ridare valore ad ogni famiglia umana;“donna forte, simile a esercito schierato in campo” per suscitare in tutte le epoche una rivoluzione di vasta portata sociale.

Perchè la nostra festa fosse intera, e non mancasse nè pietà nè poesia, e sulla nostra durezza si distendesse la grazia, Dio, che è artista di inesausta fantasia, mise in mezzo a noi una donna – la Nostra Donna – che ognuno ha motivo di chiamare Mia Signora (Madonna). E mise così in mezzo a noi l’amore con la bellezza.

Questo è vero: noi cristiani siamo una società congre­gata, come in origine anche oggi, attorno alla giovine madre di Cristo. In lei, fra mezzo a tutte le creature umane, una donna è stata messa al rango più alto: e a una donna è stato affidato il compito più grande mai affidato a es­sere umano: il compito di generare l’elemento di ricon­giunzione tra l’umanità e la divinità, poichè tra le due si era aperto un baratro che il desiderio umano non valeva a colmare.

Dio ha fatto che suo Figlio divenisse uomo, e così ha onorato il sesso maschile: ma s’è servito d’una donna, e così ha onorato il sesso femminile. Ha messo i sessi su un piano divino: e fa impressione ricordarlo ora che sono stati calati su un piano belluino.

Se questo miracolo dei miracoli s’è compiuto per opera d’una donna – la più degna tra le figlie d’Eva – si può immaginare quale posizione morale dovesse assu­mere nel cristianesimo la donna, prima ancora che pen­sassero di darle il voto. Si consideri quel che siano e si­gnifichino, tra noi, creature che si chiamarono Agnese, Caterina, Chiara, Giovanna, Teresa…

È un fatto che di quanto la società si scristianizza di tanto avvilisce la donna. Credo che nell’attuale restitu­zione di valore alle nostre sorelle agisca, magari inconsa­pevolmente, una rinascita di senso cristiano; a meno che tutto non si riduca a un semplice calcolo elettorale, per cui la donna valga una scheda.

Stupisce lo stupore di certuni di fronte alla parziale restituzione d’importanza e dignità alle nostre sorelle. Ma stupisce chi era assuefatto a vedere in loro delle oche di costo, – bestiole tra graziose e stupide a cui si parlava con vezzeggiativi senza nesso e monosillabi cretini come ai gatti e ai canarini, per rincretinirle rincretinendosi. E può stupire chi le usava come bipedi di sola produzione economica alternata di riproduzione demografica: ordegni per tener mocciosi, preparar vivande, e trainar enormi carichi sulla testa, come cariatidi spettacolari, che l’uo­mo seguiva magari senza carichi, troneggiando magari da un quadrupede, lei a piedi. Vuolsi che in Arabia così proceda il maschio: lui a cavallo innanzi, lei a piedi scalzi dietro. Oggi si vuole che le parti siano invertite: lei a piedi davanti, lui a cavallo dietro: potendo per la strada esserci mine inesplose.

E invece l’Autore della società umana mise in mezzo a noi una donna, come fonte di pietà e di gioia, d’ispira­zione e di elevazione. E poichè questa donna è una ver­gine, educa a purezza e induce, chi cade, a purificarsi. Non si sta davanti alla sua bellezza con le brutture della colpa. E questo ripulisce la società, con una disinfezione senza fine.

E questa vergine è una madre: e così la famiglia è com­pleta. L’umanità è d’ogni verso famiglia: ha il Padre, il Primogenito dei fratelli, la Madre. E in questo ambiente non servono facce feroci, non resistono tirannidi tumide, non si ammettono sopraffazioni.

Questo è Maria per noi: fonte di grazia, sorgiva di poesia, legame di bontà.

Con la festa dell’Assunta, la cristianità ripete, a mezzo agosto, la festa che, in onore del Figlio, celebra nel cuore dell’inverno a Natale.

E introduce, in mezzo alle cure dei raccolti, alla fa­tica e all’economia, un pensiero di bellezza, una poesia verginale che socialmente diventa una vittoria sugli egoismi e un ricordo degli obblighi di solidarietà.

Maria ci ha fatto il dono di Cristo, che è la razionalità perfetta, l’umanità serena, la vita completa, messa contro la barbarie avida di morte.

Dove la Vergine è di casa, come madre tra figli, non funghiscono le aberrazioni, e se ella pone sul davanzale della vita degli uomini un fiore di poesia, non per questo attenua la loro forza: ella, la donna forte, simile a esercito schierato in campo.

Chè la sua presenza tra noi non è qualcosa di statico e di stereotipo, come il sorriso d’un idolo di legno; ma è un’azione viva, che suscita e svolge un indefinito ciclo rivoluzionario simile a quello che di lei, ancella di Dio, sommersa in un villaggio ignoto tra gente malfamata, fece la creatura più grande assunta alla funzione più tremenda e coronata dal trionfo divino, che la umanità annualmente celebra. È bastato il suo nome per suscitare, nei secoli, la poesia più pura e l’arte più perfetta: la canzone del Pe­trarca e la cattedrale gotica. E la sua glorificazione non diminuisce, malgrado l’aggressione di eresie e di dileggi, dall’èra talmudica a quella dei materialisti formatisi sui libelli anticlericali; chè la pressione della società cristiana per far proclamare il dogma della sua assunzione – proclamazione avvenuta nel 1950 – significò una crescente e una più squisita conoscenza della gloria di questa beatissima.

Ella purifica, e cioè netta e decongestiona il corpo so­ciale di tutta la sanie, di cui il suo sangue giorno per giorno si carica.

Ma la rivoluzione, che la Vergine in carne ha fatto, è di portata sociale ancora più vasta, poichè fu lei, agli albori dell’èra cristiana, a riscoprire una religione che non si esau­riva nel rito, ma ispirava anche un mutamento politico-eco­nomico: una religione in cui Dio non stagnava, come nelle teodicee elleniche, in una indifferenza superceleste ignara o dimentica, ma operava, da protagonista, nella storia degli uomini, deponendo i superbi ed esaltando gli umili in politica e in economia, colmando di beni i fame­lici e rimandando a mani vuote i doviziosi, in sociologia. Compito della religione, secondo il primo annunzio di questa giovinetta quindicenne, ribadito e svolto poi dal suo Figlio sino alla crocifissione, è quello di sgonfiare e abbattere la superbia degli uomini di governo che, da servi quali dovrebbero essere dei popoli, se ne fanno pa­droni, e si tirano più su per abbassare questi più giù, e si gonfiano e circondano di sparatoria per terrorizzare la gente modesta che lavora sul piancito terrestre.

E compito della religione, secondo il medesimo an­nunzio nel quale mentre si esaltano i diritti degli uomini si magnifica la potenza di Dio (chè quanto più l’uomo cre­sce nella sua dignità e libertà tanto più in lui si rispecchia la potenza del Creatore), altro compito dunque del cri­stianesimo è di ripristinare la comunicazione della ric­chezza, la quale è stata fatta per i figli tutti, e non per alcuni solamente: fatta per circolare come sangue arte­rioso e non per stagnare in pozze come sangue gangrenoso.

A chi non si lascia circonvolgere dai suffumigi dell’orgoglio, della politica o della falsa scienza, resta la ri­serva, in tutti i casi, delle assicurazioni messianiche, e cioè rivoluzionarie, di questa giovinetta, per la cui azione, checchè accada, non si resta mai orfani. Madre di tutti è la Vergine; e la sua maternità sostiene, anche oggi, milioni di creature denutrite e vilipese.

Igino Giordani, Le feste, Società Editrice Internazionale 1954, pp.209-215

Pubblicato il: 14/08/2014Categorie: Giordani scrittore

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