Andare con i santi
A leggere nel Diario dei primi tre anni le confessioni, gli interrogativi, le esortazioni a se stesso, possiamo ricavarne tra le molte luci interiori alcune: desiderio di avere «l’anima invasa dall’amor di Dio»; l’ansia di «umiltà e carità, servire tutti, sentirsi inferiore a tutti»; la volontà di «concrocifiggersi con Gesù» (1 e 2 maggio 1941). Nell’accettare delusioni e critiche e qualche amarezza, anche familiare, mentre incalzavano i disagi e gli orrori della guerra, si poneva il problema della santità. Sentiva la «responsabilità di voler fare lo scrittore cristiano senza essere santo», e si incitava: «innalza gli scritti con la tua vita» (stesse date), con dentro il cuore questa speranza: «parlando di religione tu puoi, forse, farti santo: perché solo così quelle parole reiterate impegnano la tua anima» (12.5.1942). Era assolutamente convinto di questo: «in fine, quel che conta è una cosa sola: farsi santi» (13.5.1943); ma ben sapeva che un tale cammino «va finché tende a Dio con le forze di Dio… il grande spazio del divino solo afferrandosi a Dio si varca» (17.7.1942).
E lo vedeva strettamente collegato al servire il prossimo: «il primo servizio ch’io possa rendergli è d’avviticchiarmi alla tua croce; se farò quel che Tu vorrai, se dirò quel che Tu mi dirai, allora il servizio diverrà, anche per gli altri, un piacere» (14.9.1943).
Si trattava, è evidente, di impegnarsi a scrivere, ma anche a vivere per offrire un servizio il più santo possibile. Questo laico aveva dentro di sé il desiderio di parlare della santità al pubblico; aveva sognato che doveva scriverci un libro: «e voglio farlo», annotava in Diario inglese (27.1.1930). Ma non riuscì a mantenere l’impegno se non in altra maniera: narrare la santità concreta di anime elette.
Aveva narrato quella del Crisostomo (1929), e composto brevi profili di santi per «Fides» (ad esempio Benedetto, Tommaso Moro, Caterina da Siena, Teresa d’Avila); e, richiestone da istituti ecclesiali, aveva pubblicato libricini su figure femminili, una laica e due suore. Ma dové salire d’impegno quando fu invitato a trattare di santi a più alto livello: Paolo (1939), Ignazio di Loyola (1941), Maddalena di Canossa (1942) e perfino la regina sanctorum omnium, Maria (1943).
Aveva riservato alla Madre di Gesù un apposito capitolo in Rivolta cattolica e in Segno di contraddizione e qualche pagina, bellissima, ne Il sangue di Cristo; ora le dedicava quel che fu magnificato come un «poema epico in prosa».
Da qualcuno le sue agiografie sono state considerate di solo «livello divulgativo». Certo Giordani al precisare le minute circostanze storico-ambientali e al vaglio delle fonti dedicava la dovuta cura, ma senza esaurirsi lì; egli cercava soprattutto un colloquio personale con la santità specifica di ciascuno di quei testimoni dello Spirito, e si dimostrava interessato in proprio al loro messaggio di vita.
Lo si constata, fra l’altro, dall’esposizione-meditazione degli Esercizi di sant’Ignazio, da alcune non dette ma trasparenti autoidentificazioni con l’«ingenuità» dello stesso Ignazio e con i vari aspetti del fervore apologetico di Paolo, dal crescere del suo rapporto con la Madre di Gesù. Al suo antico pregare intensamente Maria (anche in tram) aggiungeva il cantarne la grandezza e bellezza, e ne considerava l’influsso nella vita interiore e nell’agire sociale del credente.
Da queste agiografie emerge la sua arte narrativa: Igino Giordani comunica il proprio coinvolgimento nei significati storici e culturali dei suoi protagonisti e nei loro specifici messaggi di fede e di azione. Messaggi che egli afferra con la propria intelligenza e sensibilità facendosene voce per rilanciarli all’oggi.
Egli intendeva “divulgare” l’impegno di santità.