Un santo sociale
Veramente tutti i santi sono «sociali »; cioè han servito il prossimo in Cristo o Cristo nel prossimo. Non si dà santità senza quest’amore tradotto in opere. Anche l’anacoreta che prega per la Chiesa, perduto in uno speco montano, serve i fratelli; perché le sue preghiere e rinunzie si tramutano in grazie per essi.
Ma, in effetti, alcuni santi han più direttamente prestato aiuto alla società nelle ore di maggior sofferenza. Sull’esempio di Cristo, ci sono stati lavoratori, che han servito la società, in modo particolare, nelle scuole, nelle piazze, nelle missioni, con assistenza, istruzioni, ministero ospedaliero, e tutte le risorse della carità. Ma, il sentimento sociale cristiano considera più particolarmente san Francesco come suo patrono e prototipo: e così in piena guerra si celebra S. Francesco d’Assisi, copia del Re della pace; quando più scura si fa la giornata, ci si volta a chi seppe la perfetta letizia; ciò vuol dire che di là del momento frenetico, si vedono le ragioni divine della convivenza umana: si vedono e si bramano. II Papa ha proclamato Francesco d’Assisi, e con lui, Caterina da Siena, patroni d’Italia. Due patroni degni di essa; dotati delle caratteristiche migliori della sua civiltà, dei suoi valori universali e particolari. Due giganti che bastano da soli a dar vanto e fisionomia all’Italia, dovunque si apprendano i rudimenti della storia cristiana. Due geni insomma, per i quali la loro terra non è lontana nè straniera a nessun popolo. Dopo i personaggi del nuovo testamento, il Cristianesimo non ha forse, prodotto esemplari più perfetti di Cristo: chiamato un «secondo Cristo» l’uno, e ritenuta uno specchio di Maria l’altra.
San Francesco è uno di quei Santi su cui poco si dissente. Titani come Paolo, Agostino, Ignazio suscitano disparità di opinioni, Francesco è pressoché universalmente amato: la sua santità è simpatica a tutti. Anche tra i non cattolici e gli stessi non cristiani, egli sta come il modello del santo. Questa venerazione non è solo folklore nè solo rimpianto: è anche istinto di conservazione che riporta alle fonti della saggezza eterna, o, se si vuole, della vera felicità.
Quando il mondo non cammina, specie a motivo degli sconquassi sociali, da molti si sospira: «Ci vorrebbe un secondo san Francesco».
Francesco, sposando Donna Povertà, rimise sul primo piano l’anima, dove altri metteva la roba, e Dio, dove altri metteva lo scrigno.
Sta qui la rivoluzione, che fu una ripresa della rivoluzione di Cristo. Una volta che l’anima si sia liberata dall’adorazione della ricchezza, non è spinta più a depredare il vicino, non desidera più quel che non è suo; nella carità anche la ricchezza, purificandosi, scorre, non arrestata più dagli sbarramenti dell’egoismo. Di quanto il Poverello sgombrò il cuore delle cupidigie delle cose terrene, di tanto fece varco perché passasse l’amore divino. Ma Francesco raggiunse un’eroica conformazione al Maestro, perché dispose di una straordinaria forza d’animo e di una indomita volontà; ciò che poco si vede quando ci si fissa più sui suoi discorsi agli uccelli e magari sulle sue lezioni ai lupi, cose che erano del resto una conseguenza del capovolgimento operato nello spirito. La verità è che, aiutato dalla grazia, egli ebbe il coraggio di mettersi contro corrente e di levare la sua milizia come una diga. All’ordine dei trafficanti oppose un ordine di mendicanti.
Come autore di questo rovesciamento della condotta dei più, egli può istruire anche noi d’oggi, che il problema economico, esorbitando dai suoi termini e divenuto, per troppi, assorbente, incapsula cuore e intelligenza, cultura e arte, la morale, la vita intera. Le idee di profitto, di salario, di produzione risucchiano, come un gorgo, cose sane e profane, le veglie e i sonni, il presente e l’avvenire. Siamo, i più, prostrati a terra, nel culto della dea Economia, entro il tempio politeistico del Mammona. Ci siam messi sotto l’insegna della ricchezza, e la vita è diventata una miseria.
L’esempio di Francesco ha questo di attuale: che induce sempre a riguardare la vita non dall’angolo dell’economia, ma dal balzo dell’amor di Dio, il quale dando, come il sole, un aspetto ridente alle cose, fa dell’esperimento umano una preparazione al paradiso svelandolo delle sue ansie e dei suoi terrori e rifà degli uomini, da lupi fratelli.
Di quanto perciò si ravviva il senso francescano, di tanto si ravviva il senso cristiano e insieme il genuino, creativo, solare senso italiano.
Igino Giordani, La società cristiana, Città Nuova 2010 (1942), pp.193 – 198