Il bene di ciascuno è condizione per il bene di tutti
Da un dattiloscritto inedito della fine degli anni quaranta, dal titolo “Libertà”, alcune riflessioni quanto mai attuali su economia e libertà.
La libertà spirituale diviene intera e sicura quando è protetta dalla libertà economica, politica, sociale.
Anche economica. La Chiesa vuole l’uomo libero anche dall’indigenza perché sia libero dalle tentazioni dell’indigenza e dalla disperazione che essa produce. La miseria corrode le anime, scompagina le famiglie, attenta alle virtù e alla fede; la miseria è un frutto del peccato di avarizia, d’egoismo e di rapina; quindi i cattolici proclamano una equa distribuzione e una ragionevole redistribuzione dei beni terreni al fine di mettere anche i poveri nella condizione di sentirsi, come sono, fratelli un una stessa famiglia, figli d’uno stesso Padre, e quindi in condizione di svolgere la propria personalità e raggiungere i fini per cui sono stati creati, divenendo liberi allo stesso titolo di chiunque altro fratello, e fondamentalmente uguali.
E qui si vede che la libertà non è la stessa cosa che il liberalismo, come la ragione non è la stessa cosa del razionalismo, e la nazione non è la stessa cosa del nazionalismo. Gli ismi sono desinenze che designano perversioni – malattie – di un elemento sano.
Ora il liberalismo o liberismo contemplava la libertà economica come attività senza freni, senza limiti, per cui chi più era forte e ricco e scaltro più dovesse arricchire, senza preoccuparsi dei danni che, nel suo arricchimento sfrenato, avesse procurati a produttori più deboli, più poveri e più onesti. Era la libertà del più potente sulla schiavitù dei meno fortunati. Essa portò all’accumulo della ricchezza in mano di pochi; e alla dilatazione del proletariato, al suo sfruttamento – in breve: alla sua schiavitù, e risorse, nelle fabbriche quando non erano rette da padroni cristiani e umani, la schiavitù antica, peggiorata dalla retorica e complicata dalla tecnica moderna.
Si capisce che una libertà la quale, per realizzarsi, provoca la schiavitù, non è più libertà nel senso cristiano. Cioè non è più morale. E’ immorale. E se è immorale, perciò stesso non è più – dal punto di vista cristiano – vera libertà: ché, come si è detto, la libertà ci è stata data per fare il bene, non per fare il male; così come la salute ci è stata data per star bene, e non per stare male.
Questo dice che anche in economia, come da per tutto, la libertà del singolo ha limite nella libertà degli altri: se viola questa, devia: devia e si capovolge. Anche nella produzione, anche nell’ordine economico, si devono rispettare i diritti dei terzi: dei lavoratori, dei dirigenti, dei consumatori; anche lì si deve stare con un sentimento di solidarietà, la quale [non] permette lo sfrenamento individualistico, per cui ognuno arraffi per sè. Non è cattolico il proverbio: Ciascuno per sè e Dio per tutti. […]
L’economia cattolica, sin dal Nuovo Testamento, prende come norma dalla comunione – messa in comune, scambio, compartecipazione – che è altra cosa dal comunismo, così come la libertà è altra cosa dal liberismo.
Perché l’uomo sia libero del bisogno economico deve essere, da un lato, messo in grado di poter svolgere tutte le sue facoltà, dall’altro, deve essere aiutato dalla comunità là dove egli da sé solo non riesca a raggiungere il minimo di beni necessari alla esistenza e al perfezionamento fisico e morale suo e dei suoi. Noi siamo convinti che il bene dei singoli sia in relazione con bene della comunità; e reciprocamente. […]
Quindi il bene di ciascuno è condizione per il bene di tutti. Non per nulla si vive in società.
E questo dice in sostanza che la libertà è un bene non soltanto individuale, ma anche sociale. Come ogni bene dell’uomo. Come la sua anima stessa.