L’uomo pacifico non ignora la paura

IG1956

Nell’aprile 2011 è uscito per Città Nuova edizioni la ristampa de «Il fratello», scritto da Giordani nel 1954. Ne riproponiamo qui alcuni passaggi di straordinaria attualità.

Se Dio è amore e l’amore è Dio, ecco che Dio è a portata nostra. È in noi e per noi. Non occorre quindi cercare falsi dèi, né surrogati della carità. La quale è la forza onnipotente, – è la vita di Dio, – messa a nostra disposizione; ed ha capacità di rompere ogni scorza. Avendo tale potenza a nostra disposizione, è sciocco affidarsi a strumenti umani: ad aver fede, più che in Dio, nel denaro o nella politica o nella scienza o nella materia. Queste possono, devono essere, materie prime della carità, la quale è un fuoco che s’alimenta di tutto ciò che esiste (tutto ciò che esiste, derivando da Dio, partecipa della sua natura che è carità), e si estingue solo per tutto ciò che partecipa del non-essere: il male.

Ora, politica, denaro, arte, materia, carne, perver­tendosi, possono trasformarsi in materie prime del ma­le: ostruire la vita e annullarla. Solo nell’amore hanno ragione d’essere: se hanno vita fuori dell’amore, diven­tano agenti di morte: la politica serve a dividere, il denaro serve a opporre, l’arte a corrompere, la materia a oscurare lo spirito, la carne a soffocare l’anima… “Ama e fa’ quel che vuoi” – dice sant’Agostino -: se ami come Gesù comanda, puoi trattare anche gli esplo­sivi, anche il denaro, anche le energie termo-nucleari, i veleni e i batteri in gabinetto, e trarre, da quegli ele­menti, la vita, la gioia e la salute. Viceversa, se non ami, se contempli, come solo idolo, te, non vedi i fratelli e neppure Dio.

L’uomo pacifico non ignora la paura; l’uomo della carità non ignora l’odio.

Appena esce dalla «cella del proprio sé» incontra l’avversario. È un fratello, ma ridotto a nemico. E spesso riceve tanto male per quanto bene fa: e spesso è istigato, allettato, spinto a far il male; e forse per dieci, sedici ore non fa che vivere dentro stimoli di gelosia e d’ambizione e dentro allet­tamenti di corruzione e vizio. Sì che il suo è tutto un combattere contro la guerra e contro l’odio: ma com­battere è un vivere da segno di contraddizione.

Atto di decadenza, – quasi ripetizione della caduta luciferica, – è professare la fede in Cristo – l’Amore incarnato, – e nello stesso tempo coltivare le avver­sioni, l’avarizia, il favore degli uomini, per tutelare la fede: quasi difendere la carità con l’odio, Dio col Mammona, l’Agnello con la Bestia; proteggere la salu­te con la malattia, la vita con la morte. Che è un affi­dare di nuovo Cristo al Sinedrio.

L’anima entra in una zona glaciale quando entra nell’odio, anche se lungo le recinzioni, dentro cui si bar­rica come per difendersi, essa metta scritte che ricor­dano il sacro.

Chi odia non vede più creature e non vede più il Creatore, vede sé, povera belva con l’artrite e la dispepsia, che si barrica per paura e aggredisce per sospetto: che crede di proteggersi, suicidandosi. Odiando, invece di vivere nel fratello (in Dio che è nel fratello), muore nell’assenza di Dio generata dall’odio al fratello.

E se manca Dio, è come se mancasse la luce. Non vede più niente. La scienza stessa non illu­mina più. Si pensi alle notti terribili di guerra, entro una foresta, in una voragine o tra mura di costruzioni bombardate. Il terrore gela. Dove l’umanità è mortalmente malata, cerca ristoro negli eccitanti, di cui il più facile è l’odio.

Tutta una industria giornalistica, filosofica, profes­sionale, nel collasso di principi e istituti, s’è allestita per propinargliene, manipolandolo in forme seducenti. L’odio eccita e obnubila: serra gli spiriti di una nu­vola di imbecillità, dentro la quale i problemi vaneg­giano, perdendosi. Come ogni tossico, l’odio, alla fine, porta alla morte: e l’industria, che lo manipola, si conclude nei cimiteri. Produce cadaveri; e così annulla l’opera di Dio, gene­ratore della vita. Così facendo, le pare, come a Luci­fero, di compiere opera divina. Annulla Dio: dunque è dio.

Ideologie mortuarie hanno realizzato questa ipnosi: di far accettare l’odio come una sorta di energetico: quasi pozione alcoolica per tenersi su. Chiunque casca naturalmente (e sopranaturalmente) è invitato a ti­rarsi su artificialmente, intossicandosi. La noia stanca: la mancanza di Dio gitta verso la morte: e allora, per non dormire, per sottrarsi alla paura del letargo, si cer­cano motivi di cannibalismo, per ora ideologico. Si cercano giornali e radio e convegni e amici per farsi prestare temi di ostilità, dilemmi di fratricidio, motivi di divisione; e si passa il tempo libero – e anche il ser­vile – a moltiplicare i bersagli dell’avversione. E chi ne trova, se li serra in grembo e si raccoglie tutto den­tro di essi, come dentro un lenzuolo funebre; e, al pri­mo incontro, li adopera.

Che sorpresa se, in questa narcosi, la gente paventi la catastrofe? L’odio è un accumulo di tossine: e que­ste portano al travaglio e allo spasimo per raggiungere la dissoluzione. Alla cima di questa scalata giace una necropoli, dentro cui aspetta Satana, l’Omicida, la cui essenza è odio e la cui produzione è morte.

Ghermiti nella tensione di questo furore, gli spiriti si rivoltano contro ogni legge dell’amore; e son capaci di riformare Decalogo e Vangelo per conferire carat­tere teologico alla rissa, giustificando, come un’offerta sacrale, la vivisezione del corpo sociale, anche là dove divenga strazio del Corpo mistico. Non par vero che le idee s’annuvolino, che le confusioni crescano: nel bailamme mitologico, entro cui riddano antinomie fiere e opposizioni perentorie, riescono a trovare, anche nella teologia, sofismi per giustificare l’odio: a mutare in legge d’omicidio persino la legge di fratellanza. Il precetto di amare anche chi ci odia e ci perseguita si capovolge in condanna dell’errante, col pretesto di condannar l’errore; che è un modo di tornare di là dalla Redenzione, verso le cipolle d’Egitto, della schiavitù, nel passato, perché morto.

Igino Giordani, Il Fratello, ed. Città Nuova, 2011, pp.67-68.

Pubblicato il: 21/02/2011Categorie: Giordani scrittore

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