Ricordando un grande papa: Paolo VI il riconciliatore dell’umanità

57-2-1-22

6 agosto 1978 – 6 agosto 2014: 36 anni ci separano dalla morte di papa Paolo VI, ormai vicino alla beatificazione (che si celebrerà nel prossimo ottobre). Il suo rapporto con Igino Giordani risale molto lontano negli anni: Giordani rimane colpito “dalle conferenze e scrit­ti del giovane prete bresciano, che, a Roma, assistendo la Gioventù Cattolica, educava alla libertà, cristianamente interpretata”. Un rapporto che si consolida e diventa un’amicizia profonda, fondata su una reciproca stima, negli anni in cui Giovanni Battista Montini è alla Segreteria di Stato in Vaticano e poi Arcivescovo di Milano, per diventare affetto e devozione filiale quando Mons. Montini sale al soglio pontificio. Un rapporto costellato di fitta corrispondenza, colloqui, udienze, in cui Igino Giordani si rivolge a lui con amore, confidenza e sconfinata fiducia. Lasciamo allora che Giordani stesso ci parli di questo grande papa attraverso un articolo pubblicato sulla rivista Città Nuova subito dopo la morte di Paolo VI.

La reazione commossa, alla sua morte, da parte di credenti e di non credenti, in tutto il mondo, ha dato un’idea impressionante delle dimensioni dell’opera illuminata, paziente, aperta di questo grande papa, che ha unita a una ecce­zionale carica di spiritualità, i lumi di una acuta visione delle cose, ha tessuto pazienti rapporti, ha portato avanti il dialogo ecumenico fra i cristiani e con gli uomini di buona volontà fino agli estremi confini della terra, ha saputo tenere con saldezza il timone della chiesa nel tempo difficile della prima attuazione del Concilio.

Veramente, Paolo VI, morendo, è ap­parso quasi il padre spirituale dei popoli che, nel dolore per la sua morte, si sono trovati uniti, malgrado i loro dissensi e le loro differenze e lontanan­ze, nel giudizio e nel rimpianto.

 

Sbalorditiva è stata l’ampiezza di rap­porti televisivi e di articoli di giornali, anche di quelli solitamente avversi alla chiesa: quasi tutti han messo in risalto l’amore verso l’umanità, e soprattutto verso i sofferenti, i poveri, i disoccupati, i dimenticati; e insieme lo sforzo paziente, intelligente, per combattere il nemico dell’uomo: l’odio, la guerra, gli armamenti, le discordie… E’ stato il papa dell’amore, sacrificatosi per ravvivare vincoli di unità. La sua condotta ha of­ferto la prova della capacità viva del­1’Evangelo di poter salvare la famiglia umana dalla catastrofe apocalittica, alle­stita con esplosivi, intossicazioni ecologi­che, corruzione morale e droghe; dalla distruzione dell’uomo, attraverso omici­di, ricatti, “Làger”, Gulag…

 

Credo che mai, sul pianeta, sia esplo­so un sentimento di cordoglio così vasto come quello suscitato dalla sua morte. Benché gracile e sofferente, non si pensava alla sua scomparsa, perché lo si era visto, per anni, sempre presente, sopra tutto come promotore della pace universale e della riconciliazione di classi e stati e individui. Dalla stessa moltitudine di laicisti e atei e ignari di cattolicesimo si confidava che egli portasse avanti la sua opera verso quella convivenza, per cui il rabbi di Gerusalemme ha riconosciuto in lui l’araldo della pace universale, e l’organo del partito comunista polacco, “Tribuna Ludu”, l’ha definito «simbolo della distensione nel mondo». Proprio così: egli stava ricostruendo la convivenza, distrutta da razzismi, classismi, guerre…; e «memo­rabili, – ha riconosciuto Breznev stes­so, – sono stati gli interventi di Paolo V1 per la pace nel mondo».

La sua scomparsa ha assunto quell’aspetto ecumenico, che aveva caratteriz­zato l’intero suo pontificato. Han pianto e han pronunziato giudizi di lode e gra­titudine protestanti e anglicani, ortodos­si e riformati, maomettani e buddisti, insieme ad altre innumerevoli creature di buona volontà, che dalle sue parole avevano capito l’importanza dell’unità religiosa, ispiratrice dell’unità anche po­litica, sola alternativa ai conflitto mon­diale.

L’amore insegnato da Cristo spinge sino a dare la vita per il fratello; Paolo VI s’è inginocchiato alla presenza mo­rale dei brigatisti rossi, chiamandoli «uomini delle brigate rosse», avviati al fratricidio di Aldo Moro, e li ha sup­plicati di risparmiarne la vita. Per risparmiare la vita, da per tutto e sempre, pur con le difficoltà fisiche, ha intra­preso viaggi con l’intento di riconciliare chiese e religioni, razze e stati; si è re­cato a Gerusalemme, per abbracciare il patriarca Atenagora, da cui era amato e stimato come un secondo Paolo apo­stolo, e con cui ha messo termine a una frattura durata nove secoli; e si è recato a Bombay, a New York, a Gi­nevra e in mezzo ad altre masse d’Eu­ropa, d’Asia, d’Australia, d’Africa, do­nando energie spirituali e possibilmente anche materiali a bisognosi d’ogni sorta, sì da risuscitare nel mondo una coscien­za della solidarietà umana.

Era, la sua, una evangelizzazione as­sidua, comprensiva, commossa, attraver­so discorsi e colloqui con moltitudini di cattolici e cristiani vari, nelle chiese, nelle udienze, in aule, in piazze. Egli aveva costatato che la decadenza reli­giosa è dovuta non solo a motivi politi­ci, a teorie atee, a risse sociali, a calun­nie, ecc., ma è dovuta sopra tutto a igno­ranza religiosa, a deficienza catechetica. E, pur con la crisi postconciliare della diserzione di preti e religiosi, con mi­nacce di scismi e spunti d’eresie, egli, senza perdere la fermezza del giudizio, ha affrontato, con un coraggio, una originalità e una varietà incredibili, il com­pito d’istruire la gente sui valori più grandi e insostituibili della esistenza: i valori della fede.

Difensore della vita; questo egli è stato, come papa, anche nel curare le ferite dell’incultura religiosa. Milioni e milioni di persone furono colpiti dalla pietà e dalla razionalità del suo insegnamento, che egli voleva fosse visto e vissuto quale dovere di ogni battezzato cosciente. Rivelava così un aspetto di quella sua passione, «amore appassionato della chiesa».

La sua evangelizzazione, come si è rivelata nei giudizi anche di capi di stato, uomini politici e studiosi d’ogni tendenza e partito (cito per l’Italia, fra gli altri, l’on. Berliguer) si è concretata anche in Encicliche famose, come la “Populorum progressio”, che unisce l’amore per i poveri coi principii evangelici della giustizia sociale.

Il presidente della repubblica italiana Sandro Pertini, sullo sfondo di queste realizzazioni di pace e di giustizia, è corso tra i primi a Castelgandolfo, di­mostrando quanto egli apprezzasse la condotta di Paolo VI pur in mezzo al dramma politico dei paesi d’oggi.

Pertini ammirava il carattere di Mon­tini, che si presentava con tratti affini al suo: semplicità, dirittura, con in fon­do la libertà propria dei figli di Dio.

Ricordo l’impressione ricevuta da me nei giovani anni dell’Azione Cattolica, ascoltando e leggendo conferenze e scrit­ti del giovane prete bresciano, a Roma, dove, assistendo la Gioventù cattolica, egli educava alla libertà, cristianamente interpretata. Così, per esempio, in rapidi colloqui, parlando del fascismo, egli ne rilevava sopra tutto il pericolo che rap­presentava per la libertà dello spirito. Lo condannava netto (e come tale io rappresentai Montini sotto la figura d’Ildebrando nel romanzo “La città mura­ta”, segnalando che dove la tirannide ha bisogno di sopraffare la chiesa, e dove ci riesce, la libertà umana è sof­focata).

E tuttavia, pur respingendo nettamen­te il fascismo, egli non attaccava mai le persone, per la carità mai soffocata. Pareva aristocratico e, come sacerdote e pensatore, imponeva la sua dignitá; ma non sminuiva la sua amicizia. Fatto pontefice, ogni volta che la fortuna mi permise d’incontrarlo, restai commosso sempre della spontaneità con cui mi abbracciava e intavolava la conversa­zione.

Quando mi nacque il terzo figlio, chiamato appunto Ildebrando, egli dal­la Segreteria di Stato accorse alla vicina chiesa di Cristo Re, per assistere al bat­tesimo. Non per nulla legame tra lui e me era il padre (poi cardinale) Bevi­lacqua, costretto a lasciar Brescia per le persecuzioni fasciste e ospitato in Va­ticano nell’appartamento di mons. Mon­tini.

Ho detto che la stampa, quasi senza eccezioni, in tutto il mondo libero, ha esaltato la figura di Paolo VI, visto co­me modello dell’autorità fatta servizio di tutti i popoli. Un giornale non catto­lico ha scritto: «La sua morte ha colto dì sorpresa l’opinione pubblica, semi­nando pianto, sgomento e fra i non cre­denti un sincero dolore. Questo sincero dolore è anche il nostro »[1].

Tutta la gente consapevole ha pianto, così come egli aveva più volte pianto di fronte ai mali della gente: primo tra questi il corso di aberrazioni dottrinali e di rivolte disciplinari (si pensi al caso della chiesa d’Olanda, dopo il Concilio Vaticano II). Ma la sua prudenza, la sua sapienza erano riuscite a ravvivare l’ordine e l’unità della chiesa.

E in questo risultato poniamo il ver­tice della grandezza di un uomo, affi­datosi alla fede nell’Eterno.

E’ stato un ricostruttore e un pacifi­catore, in tutti i campi, dal religioso al sociale. Un giorno mi chiese come giu­dicassi il contegno intimo dei deputati comunisti verso la chiesa. Risposi che, secondo la mia esperienza fatta negli incontri alla Camera, mi pareva che, sotto le dottrine marxiste-leniniste, tutti conservassero una riverenza grande per Gesù e per san Francesco, scoprendo an­ch’essi il mistero dell’anima “naturaliter christiana”. Esclusi solo alcuni pochi, tre o quattro. «Me ne nomini uno!» mi chiese il papa. E io nominai uno che era al vertice del Pci. «Proprio ieri, m’,è venuta una lettera da lui», mi ri­spose il papa, serio.

Papa Montini non è morto. E’ vivo fra noi, per noi.

Egli ha ridato un impulso spirituale al laicato. Morendo, ha lasciato, tra cri­stiani e non cristiani, una salda speran­za che il suo zelo per avvicinare il po­polo, per approfondire la conoscenza della fede, per suscitare sempre nuovi motivi e nuove forze di vita, nell’amore e nella semplicità, sarà continuato dal successore. E per questo, col rimpianto di Paolo VI, preghiamo lo Spirito San­to ardentemente.

Igino Giordani, Paolo VI il riconciliatore dell’umanità  in «Città Nuova» n. 7 del 10.9.1978, pag.12. 


[1] “Paese sera”, 7 agosto 1978

Pubblicato il: 06/08/2014Categorie: Giordani scrittoretag =

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