Centenario della Prima Guerra Mondiale
Pellegrinaggio al monte Mosciagh, luogo del ferimento di Igino Giordani
(7 luglio 1916 – 7 luglio 2016)
Il Centro Culturale Igino Giordani di Piacenza, insieme agli altri Centri e interessati tutti, intende compiere il 7 luglio p.v., in occasione del centenario del ferimento del grande testimone e co-fondatore del Movimento dei Focolari, un pellegrinaggio al monte Mosciagh – Zebio.
Sul monte Mosciagh verso le ore 11.30 di giovedì, a cento anni di distanza, scopriremo una targa commemorativa in legno pirografato.
Il prof. Alberto Lo Presti ci aiuterà in una riflessione / revisione storica di quegli avvenimenti.
Fin dal 2014, in occasione della presentazione a Piacenza della biografia di Tommaso Sorgi “Igino Giordani – Storia dell’uomo che divenne FOCO”, il prof. Alberto Lo Presti apprezzò il desiderio di ricordare con un gesto Igino Giordani nel centenario della Grande Guerra. Per i piacentini questo pellegrinaggio assume un significato particolare in quanto proprio da Piacenza Igino partì per il fronte dell’Isonzo nel novembre 1915, facendo parte del 111° reggimento della Brigata Piacenza.
Siamo convinti che far memoria degli avvenimenti e delle circostanze della vita di un fratello ci fa scoprire il «filo d’oro» di una «divina avventura» e può essere per noi occasione e sprone a perseverare verso la santità condivisa di un popolo rinnovato dall’amore.
Facciamo dunque del Centenario della Grande Guerra e della memoria di tanti caduti e di coloro che sono tornati cambiati «dall’inutile strage», come il tenente Igino Giordani, una ragione di fratellanza, condivisione, dialogo e pace universale. Quegli avvenimenti non impedirono ad Igino Giordani di intravvedere e perseguire gli ideali di una nuova umanità. Specialmente nel singolare incontro con Chiara Lubich.
Piergiorgio Poisetti, Centro Culturale Igino Giordani di Piacenza
Di seguito troverete tutto il materiale illustrativo dell’evento.
Il racconto
[… Il suo reggimento, che assieme al 112° componeva la brigata Piacenza, entrava a farparte del 20° corpo d’armata, per essere utilizzato nei movimenti che il generale Cadorna stava
effettuando al fine di contrastare la Strafexpedition del generale Conrad. Questa era iniziata dal
fronte trentino a metà maggio con notevoli conquiste territoriali; ma il sopraggiungere di
rinforzi consentì all’esercito italiano di fermarla e poi, dal 16 giugno, di passare alla
controffensiva, riprendendo parte del terreno perduto, compreso l’orlo orientale dell’altopiano
di Asiago – detto anche “dei Sette Comuni”. Qui però la riconquista italiana restava bloccata
lungo una linea che comprendeva anche due monti noti ai lettori di Memorie: Zebio e Mosciag.
Nelle loro trincee rocciose venne a trovarsi il sottotenente Giordani, giuntovi a fine giugno
o i primi di luglio, dopo una faticosa marcia di trasferimento dalla zona del Piave. Anche su
queste montagne era in prima linea con i suoi soldati a condividere rischi e sofferenze,
esponendosi senza alcuna paura di morte, tanto che dal suo capitano s’ebbe l’esortazione ad una
maggior cautela.
Invece del freddo e del fango dell’inverno isontino, questa volta trovò l’estate, la roccia
dura e un altro tipo di proiettili. Se l’episodio dell’elmetto gli fosse capitato qui, gli sarebbe
saltato il cervello, chè le truppe di Conrad usavano cartucce esplosive – le così dette pallottole
“dum-dum” – le quali al primo urto scoppiavano in più frammenti producendo effetti devastanti.
Giordani si trovò con il suo reparto prima sul Monte Zebio e dopo pochi giorni sul Mosciag, a
partecipare ad azioni disperate, di cui tutti gli esperti poi avrebbero dichiarato la inutilità ed
irrazionalità (ma tutta la guerra, egli scrive, è un <<antiragionamento>>). Le truppe austroungariche
dominavano dall’alto la fiancata del monte, tutta una scalea di gradoni rocciosi, su cui
avevano steso una doppia barriera di ferro spinato e cavalli di Frisia, vigilata da tiratori scelti che
<<non sbagliavano un colpo>>, racconta uno storico della battaglia degli Altipiani. Contro tale
barriera gli italiani non avevano altri mezzi che lunghi tubi di gelatina e pinze tagliafili da usare
di notte: si agiva infatti allo scoperto e a strettissimo contatto con i reparti opposti. (Nota 16: Uno
dei figli di Giordani mi racconta che nelle soste tra le sparatorie Igino addirittura, utilizzando le
sue prime nozioni di tedesco, conversava con un giovane austriaco, anch’egli studente
universitario).
Per tutto il mese di luglio furono sferrati quattro inutili e costosi attacchi: durante il
secondo di essi (6-8 luglio) al plotone comandato dal sottotenente Giordani fu affidato il compito
di andare a mettere uno di quei tubi di gelatina sotto il reticolato nemico per aprirvi un varco.
Non mandò solo i suoi fanti: all’alba del 7 luglio andò lui innanzi a loro a far brillare il tubo di
gelatina; ma il fucile di un tiratore scelto lo prese in pieno. Gravemente ferito, fu aiutato da due
suoi soldati che, mentre lo traevano in salvo, rimasero uccisi.
L’effetto di quel proiettile dilaniante fu il femore destro spappolato, e la mano destra
colpita da una scheggia.
Da quanto poi raccontò ai figli risulta un altro particolare: fu tanto il sangue perduto che a
un certo momento, nella concitazione di quei frangenti, lo dettero per morto. L’avevano già
deposto nel tendone–obitorio, quando un medico s’accorse che ancora respirava e riprese a
prestargli quelle cure che gli evitarono di morire davvero. …]
(da: Tommaso Sorgi, IGINO GIORDANI Storia dell’uomo che divenne FOCO, Città Nuova, 2014; p. 35-36)
Crocetta di Zebio (m.1708) – Prima linea austroungarica – Museo all’aperto delle trincee
Era il tratto centrale della prima linea di arroccamento austroungarica nell’altipiano di Asiago, tra
l’Ortigara, il Colombara, l’Interrotto e la profonda incisione della val d’Assa, dal luglio 1916 al
dicembre 1917, sulle posizioni dopo la ritirata della linea di massima conquista a seguito della
Strafexpedition del maggio 1916 che, in questa zona, fu fermata sulle aride sassaie del Monte Fior e
Castelgomberto.
Il 16 giugno, esaurita la spinta offensiva, il comando austroungarico decise di ritirarsi su posizioni più
facilmente difendibili. Fu questo il settore che vide il maggior sacrificio di sangue della prima guerra
mondiale. Tra le geograficamente insignificanti alture dell’Ortigara e del Zerbio, tra assalti e
contrassalti per la conquista di poche decine di metri venne applicata la tattica della guerra di massa,
intesa come spinta umana di migliaia di uomini, ma pure come guerra di massacro che richiese il
sacrificio di decine di migliaia di giovanissimi soldati.
Il settore Monte Colombara–Monte Zebio era di enorme importanza. Dietro queste linee passava,
infatti, l’unica strada facilmente percorribile che attraverso Casera Zingarella e Galmarara scendeva
in Val d’Assa per raggiungere il passo Vezzena e le retrovie attestate a Levico e Caldonazzo, dove i
rifornimenti potevano arrivare con la ferrovia. Un cedimento in questo settore, per gli austroungarici,
avrebbe irrimediabilmente compromesso i rifornimenti alla più avanzata posizione sull’Ortigara e
Campigoletti. Per tutto l’autunno nell’intero settore gli italiani tentarono lo sfondamento con l’obiettivo
di conquistare il vero nodo strategico dell’altipiano: il Portule. Il rigidissimo inverno 1916 paralizzò
qualsiasi idea di azione e l’iniziativa di sfondamento fu programmata per il maggio/giugno 1917.
Ma i primi di giugno una grande mina, posizionata tramite lo scavo di una lunga galleria, esplose sulle
posizioni italiane della Lunetta di Zebio che vennero immediatamente occupate dagli imperiali.
Immani furono le perdite sull’Ortigara. Svanì il progetto di sfondamento verso il Portule. Causa gli
avvenimenti sul settore orientale del Piave e Grappa, dal dicembre 1917 il fronte venne accorciato ed
il fulcro della guerra fu il Monte Grappa. Tutte le postazioni italiane nel settore dell’altipiano vennero
abbandonate ed i caposaldi spostati a sud di Asiago sul Col d’Ecchele e Valbella, la linea più breve
rispetto al Grappa e Valstagna in Valsugana.