Il 27 settembre 2009 si è conclusa l’inchiesta diocesana della Causa di Canonizzazione del Servo di Dio Igino Giordani. La mole di lavoro compiuta dal Tribunale eretto dall’allora Vescovo di Frascati S.E. Mons. Giuseppe Matarrese ha avuto una tangibile visibilità quando, durante la cerimonia conclusiva, sono state trasportate più di 30 casse piene di documenti attestanti le numerose deposizioni dei testimoni, le ricerche compiute dalla Commissione storica, i voti dei censori teologi, i decreti prodotti dal tribunale, e una gran quantità di scritti editi e non, lasciati dal Nostro.

I materiali complessivi dell’inchiesta diocesana sono stati poi consegnati alla Congregazione delle Cause dei Santi, il dicastero preposto alla fase apostolica romana della canonizzazione.

Dopo aver ricevuto da questo dicastero il decreto di validità giuridica degli atti processuali dell’inchiesta diocesana, ora, nel 2022, ci troviamo nella fase di consegna della cosiddetta «Positio», un’istruttoria che passa in rassegna i testi escussi, la vita, i documenti, capaci di indicare il grado eroico delle virtù vissute dal Servo di Dio.

Un modello di virtù vivibile e imitabile per ogni cristiano oggi, una santità, come Giordani stesso l’ha definita, “socializzata”: ecco ciò che emerge dalla vita di Foco. In uno stralcio inedito datato 1974, Giordani testimonia l’impatto fortissimo dell’incontro con Chiara Lubich e il suo carisma: fiorì in lui (grande conoscitore dei Santi e noto agiografo) un’idea totalmente nuova della santità.

«Quel che mi era parso, nelle agiografie, un risultato di ascesi faticosa, riservato a rari cercatori, diveniva retaggio comune, e si capiva come Gesù avesse potuto invitare tutti i seguaci a divenir perfetti a mo’ del Padre: perfetti come Dio!
Tutto vecchio e tutto nuovo.
Era un nuovo congegno, un nuovo spirito. Era trovata la chiave del mistero: e cioè si era dato passo all’amore, troppo spesso barricato: ed esso prorompeva, e, a mo’ di fiamma, dilatandosi, cresceva, sino a farsi incendio.
Quell’ascensione a Dio, ritenuta irraggiungibile, era facilitata e aperta a tutti, essendosi ritrovata per tutti la via di casa, col senso della fraternità. Quell’ascesi che pareva terrifica (cilici, catene, notte oscura, rinuncia), diveniva facile, perché fatta in compagnia, con l’aiuto dei fratelli, con l’amore a Cristo.
Rinasceva una santità collettivizzata, socializzata (per usar due vocaboli che più tardi dal Concilio Vaticano II saranno popolarizzati); tratta fuori dall’individualismo che assuefaceva ciascuno a santificarsi per sé, coltivando meticolosamente, con analisi senza fondo, la propria anima, anziché perderla. Una pietà, una vita interiore, che usciva dai ridotti delle case religiose, da certo esclusivismo di ceti privilegiati – avulsi talora sino a essere fuori, se non contro, la società, che è poi in gran parte la Chiesa viva – si dilatava nelle piazze, nelle officine e negli uffici, nelle case e nei campi, così come nei conventi e nei circoli d’Azione cattolica, poiché, dappertutto, incontrando uomini, s’incontravano candidati alla perfezione.
Insomma l’ascesi era risolta in un’avventura universale dell’amor divino: e l’amore genera luce».

  • 30/09/2004
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